KEITH RICHARDS

“Non c’è spazio per tutti e due. Devo andare di là e cacciarlo io stesso?” Queste le parole con cui Richards esortò l’allora promoter degli Stones ad accompagnare Trump alla porta del suo stesso palazzo. Per placare l’ira del repubblicano ci vollero ben 40 uomini della sicurezza muniti di mazze da hockey e cacciaviti.

Che fosse odiato da milioni – se non miliardi – di persone, tra cui Johnny Depp, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Whoopy Goldberg, George Clooney, Chris Brown, Miley Cyrus e chiunque altro possieda un quoziente intellettivo quantomeno nella media, già si sapeva; ma che riuscisse a tirare fuori dalle grazie divine persino uno Stones…!

Non ci crederete mai, ma l’oggi miracolato Donald Trump è riuscito a sopravvivere agli anni ’80 per il rotto della cuffia dopo essersi farsi odiare – e quasi accoltellare – persino da Keith Richards, noto modello di pacatezza e sobrietà riconosciuto a livello mondiale, nonché egocentrica e iconica chitarra solista dei Rolling Stones.

È vero, oggigiorno non è raro trovare oppositori al leader del trash Trump, direte voi, ma l’amore di Richards per il candidato repubblicano iniziò ben ventisette anni fa, quando Trump già stava tentando la sua scalata alla Casa Bianca (suvvia, lo sapevano persino i Simpson).

Correva il 1989 e, se gli stessi neuroni di Keith erano in condizioni critiche, la band era praticamente al catafascio. Nonostante ciò “Steel Wheels” e lo “Urban Jungle” tour trascinarono Jagger e soci in giro per America e Canada fino al 20 dicembre, ultima data della prima trance, quando la band arrivò ad Atlantic City.

Teoricamente, l’esibizione avrebbe dovuto tenersi al Boardwalk Hall e, ironia della sorte, essere sponsorizzata dal Trump Plaza Hotel & Casino, a pochi passi dall’arena, ma il gruppo espresse la volontà di prendere le distanze da qualsiasi possibile affiliazione con il magnate del lusso.

Fu solo grazie a Michael Cohl, allora promoter del tour, se le due parti raggiunsero un punto d’incontro: Trump – e qualsiasi sua forma di pubblicità – sarebbe rimasto alla larga dalle luci della ribalta e la band si sarebbe esibita come promesso.

Purtroppo però, quando Jagger e soci raggiunsero la sala stampa per tenere una conferenza, la trovarono già occupata… da Donald Trump.

Il tiro mancino del repubblicano non fu digerito dagli artisti, in particolare da Richards, il quale piantò un coltello in un tavolo esortando Cohl – il quale già aveva tentato di invitare il politico ad uscire con scarsi risultati – a cacciare Trump dalla sala.

“Perché diavolo te ne stai qui? Devo andare là a cacciarlo io stesso? Uno di noi deve uscire da questo palazzo: lui o noi!” insorse Keith. A quel punto, Cohl fu costretto ad andare da Trump e portarlo di peso fuori dall’hotel prima che la band desse forfait.

“Nella mia testa mi chiedevo cosa stessi facendo” ha raccontato il promoter canadese a Pollstar. “Stavo cacciando Trump dal suo stesso edificio!”

Omicidio scampato… o quasi, perché se Richards aveva il coltello dalla parte del manico, Trump non era tuttavia incline ad ottemperare alle sue richieste e lo fece capire chiaramente a Cohl, minacciandolo.

Fu solo allora che quaranta uomini della sicurezza, al seguito della band, accorsero per prendere (pacificamente) le difese del promoter, equipaggiati di cric, mazze da hockey e cacciaviti.

Dopotutto si trattò di un incontro tra gentiluomini, no?

Trump, come potete vedere, è ancora (s)fortunatamente vivo e vegeto, pronto come allora ad irritare, minacciare e fare lo smargiasso. Immagino si possa dire lo stesso del nostro Keith!

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Giulia Rettaroli nasce nel 1996, milanese doc, e si diploma perito turistico appassionandosi sin da subito a lingue e culture straniere. Allo studio si affiancano naturalmente la passione per il cinema (sci-fi e classici del genere horror in primis) e per la musica. Dischi, biografie, documentari, vecchi numeri di Melody Maker e Rolling Stone trovano posto tra chitarra e amplificatore e si moltiplicano negli anni alla scoperta del sound di artisti come Led Zeppelin, Black Sabbath, Beatles oltre che di Pink Floyd, Motörhead, Nirvana e via dicendo. Personalità come Frank Zappa e Lester Bangs incidono inoltre fortemente nel suo senso critico. Oggigiorno si diletta nello studio del danese, nel collezionismo di dischi che hanno fatto la storia della musica e, naturalmente, nella scrittura di recensioni et simili.

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